La libertà: uno sguardo biblico

Frei Diones Rafael Paganotto, oad

L’anno di 2018 è speciale per la Provincia del Brasile, visto che festeggia i settant’anni dell’arrivo dei primi Agostiniani Scalzi nelle terre brasiliane. Quest’anno giubilare ha coinciso con la celebrazione del XIV Congresso della FABRA (Federazione Agostiniana Brasiliana). Evento realizzato dall’entità che collega tutte le famiglie religiose agostiniane presenti nel Brasile. Ad ogni tre anni la FABRA realizza un Congresso religioso, pastorale e formativo. L’edizione di numero XIV ha avuto luogo a São Paulo (SP) nei giorni 15 a 19 di gennaio. Il tema del Congresso di 2018 è stato: “La libertà in Sant’Agostino”.

Alcuni dei nostri confratelli della Provincia hanno partecipato all’incontro settimanale: il provinciale P. Vilmar Potrick, il procuratore generale P. Calogero Carrubba, P. Márcio dos Santos, P. Antonio Ribeiro que faceva parte del gruppo organizzativo, il chierico Fra Jairo Itamar dos Santos e P. Diones Rafael Paganotto che ha proferito una riflessione biblica sulla libertà. Il riassunto di questa riflessione è proposto da questo articolo.

 

Il termine “libertà”

Il termine “libertà” appare spesso nelle attuali riflessioni filosofiche e giuridiche, ma ben poco nel vocabolario biblico. Infatti, gli agiografi non riflettono su cosa significa la libertà, ma raccontano eventi di liberazione ed affermano la novità liberatrice portata da Cristo.

 

Pensiero semita

Il pensiero semita, espresso sopratutto nell’Antico Testamento, non utilizza un termine ebraico specifico per definire la libertà, ma preferisce raccontare l’esodo, il più grande evento di liberazione. Il verbo ‘aláh, cui significado é “far uscire”, esprime l’idea di “liberare”. Ecco due testi profetici, secondo la traduzione della Bibbia della CEI, che uttilizzano questo verbo.

Per mezzo di un profeta il Signore ha fatto uscire Israele dall’Egitto, e per mezzo di un profeta lo custodì (Os 12,14).
Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, ti ho riscattato dalla condizione servile e ho mandato davanti a te Mosè, Aronne e Maria? (Mq 6,3-4).

Il grande evento storico di libertà riceve, così, una rilettura teologica. Essere libero significa essere liberato, elevato, salvato da Dio. L’uomo biblico riconosce in Dio la fonte della libertà. In questo modo, è possibile affermare che in Dio si trova la libertà, senza l’azione di Dio il popolo sceso in Egitto continuerebbe schiavo.

 

Pensiero greco

Nel linguaggio greco il termine “libertà” è reso con eleuthería, cui radice leuth- si collega ad un altro termine importante: laós che significa “popolo”. Secondo il modo di pensare greco, la persona è libera nel momento in cui appartiene al popolo. Quelli che non fanno parte del popolo (schiavi, donne, bambini) non sono liberi! Questa è una prospettiva completamente diversa da quella biblica: per l’israelita la libertà è un dono di Dio, per il greco la libertà è un privilegio all’interno della società.

Questa lettura della libertà viene completata dal pensiero filosofico stoicista: l’uomo è libero quando è capace di si autogovernare. Infatti, la persona che si trova sotto il principio moderatore della legge  è anche capace di fare un cammino ascetico, ossia, non essere schiavizzata dalla materialità. La libertà, quindi, è tanto un elemento pubblico (appartenenza al popolo) come privato (capacità di si autogovernare).

 

L’esodo e la libertà

Come detto poc’anzi, l’Antico Testamento non define la libertà, ma riflette circa l’evento dell’esodo. I primi cinque testi biblici sono conosciuti come Toráh: un unico Libro che raccoglie la Legge di Israele. All’interno di questa collezione, il Libro dell’Esodo possiede un posto privilegiato, visto che è preparato dal Libro della Genesi e rende possibile i tre seguenti: Levitico, Numeri e Deuteronomio.

Il Libro della Genesi si divide in due grandi parti: Gn 1–11 riflette circa l’inizio di tutto, mentre Gn 12–50 narra le vicende collegate ai patriarchi. Il libro finisce con la discesa di Giacobbe/Israele con i suoi figli all’Egitto, dove sono accolti da Giuseppe e dal Faraone.

I primi capitoli del Libro dell’Esodo (Es 1–13) testimoniano il cambio di personaggi, il conflitto tra gli Israeliti e il Faraone, la vocazione di Mosè, l’inizio della sua missione, i dieci segni prodigiosi e l’uscita per celebrare la pascoa. Questi testi preparano l’importante evento di leberazione: il passaggio del mare (Es 14–15). La narrazione e il ringraziamento innico hanno la libertà come sottofondo, visto che Israele lascia la schiavitù in Egitto per ricevere dal Signore la libertà. La narrazione pone una grande domanda di sottofondo: chi è il padrone d’Israele? Il Signore o il faraone?

Quando il faraone fu vicino, gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco, gli Egiziani marciavano dietro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore (Es 14,10).

Il rischio di perdere l’occasione della liberazione provoca la paura, questo rischio viene aggravato, giacché Israele può perdere ancha la sua identità e fede. Il grido degli Israeliti ricorre anche all’inizio del Libro dell’Esodo, quando si rivolgono al Signore in mezzo alla schiavitù.

Dopo molto tempo il re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero (Es 2,23-25).

Il grido d’Israele è una richiesta di libertà. Mosè ed Arone sono soltanto dei personaggi al servizio di questa libertà. Il grande artefice è il Signore che ascolta il grido di lamento e se ne dà pensiero. La libertà rafforza il rapporto tra Israele il suo Dio, visto che possibilita il ritorno alle proprie origini, da dove Giacobbe/Israele era partito con i suoi figli. Il cammino nel deserto e il dono della Legge sono etappe successive all’uscita ed abbracciano la seconda parte del Libro dell’Esodo e gli altri tre libri seguenti che si concentrano, soprattutto, sulla Legge, riconosciuta come un dono di Dio per vivere nella libertà. Mentre Israele vive in buon rapporto con Dio ed obbedisce la Legge, la libertà viene garantita; però, quando Israele abbandona Dio e la sua Legge, il rischio di una nuova schiatù si torna reale.

L’evento dell’esodo fu trasmesso lungo tante generazioni fincchè fu messo per scritto nel libro che disponiamo. Questo evento di libertà si ripete fino ad oggi, quando un popolo o delle persone gridano al Signore chiedendo la libertà, chiedendo che questo diritto universale venga loro riconosciuto.

 

Gesù e la libertà

Il Nuovo Testamento fa un passo in avanti in relazione all’Antico Testamento: il ministero di Gesù di Nazaret come salvatore e liberatore. Questa prospettiva è presente in tanti testi, ma due meritano l’attenzione e saranno proposti in seguito.

 

Il vangelo di Giovanni

Il primo testo è tratto dal IV Vangelo, sin dall’antiquità riconosciuto come il Vangelo di Giovanni. Un testo ricco e profondo che, in rapporto agli altri tre vangeli, ha molte particolarità, tra cui quella di essere un testo rivolto ad un comunità matura nel cammino di fede che valorizza la divinità di Gesù.

Un punto interessante della teologia di Giovanni è il nuovo significato conferito alle principali feste giudaiche: la festa della Pascoa festeggiava il dono della libertà e passa ad evidenziare la liberazione dalla morte nella risurrezione di Cristo; la festa di Pentecoste festeggiava il dono della Legge sul Sinai e segnala il nuovo dono, quello dello Spirito Santo; la festa delle Tende celebrava il cammino nel deserto con la processione dell’acqua e passa a rafforzare il senso della missione di Cristo come fonte dello Spirito.

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa [delle Tende], Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato (Gv 7,37-39).

Gesù introduce la missione dello Spirito e la necessità della fede. Infatti, lui si colloca come l’unico capace di saziare la sete dell’essere umano. La sete che si manifesta in tanti modi diversi, una sete che è anche di libertà! Per ottenere la sazietà si fa necessaria la fede, essere credenti in lui, essere suoi discepoli, mettersi nel suo cammino.

A queste sue parole, molti credettero in lui. Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi” (Gv 8,30-32).

La libertà non è soltanto una liberazione politica, come quella dall’Egitto, nemmeno l’appartenere ad un popolo, come la concezione greca. La libertà significa essere discepolo, seguire i passi di colui che da sempre fu una persona libera: Gesù Cristo.

La libertà porta alla consocenza della Verità che nella teologia del IV vangelo è il proprio Cristo, colui che rivela il disegno salvifico del Padre. Conoscere non è soltanto qualcosa di intellettuale, ma è personale. La libertà è una possibilità offerta da Dio ad ogni essere umano, non soltanto ad un popolo o gruppo. Tutti possono essere davvero liberi! Infatti, tutti possono conoscere Dio ed essere suoi discepoli.

 

Il vangelo di Paolo

Il secondo testo del Nuovo Testamento che completa l’esposizione circa la libertà è tratto dalla Lettera ai Galati. In questa corrispondenza Paolo cita la libertà, dopo aver parlato della difficoltà con i giudei-cristiani, della giustificazione per la fede e dell’esempio di fede di Abramo.

Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù (Gal 5,1).

L’apostolo delle genti sottolinea il dono della libertà e la sua provenienza divina, così come già presente nel Libro dell’Esodo e nel IV Vangelo. Inoltre, Paolo rafforza la prospettiva di Cristo come fonte della libertà. La sua riflessione parte da una definizione negativa, ossia, la libertà è vista come eliminazione di qualcosa negativa, in questo caso dalla schiavitù. “Imporre di nuovo il giogo della schiaviù” significa il ritorno alla situazione anteriore a Cristo, nella quale le opere della Legge erano viste come capaci di liberare l’essere umano dal peccato. Paolo è totalmente contrario a questa impostazione. Cristo ha liberato l’umanità una volta per sempre, un unico atto di liberazione con effetti perenni. Paolo concepisce, così, due possibili forme d’esistenza umana: forma antica (sotto la Legge, con il peccato, senza Cristo) e la forma nuova (sotto la Grazia, senza il peccato, con Cristo).

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri (Gal 5,13).

La libertà è una vocazione universale: tutti sono chiamati in Cristo a vivere questo dono. La libertà, però, non può essere intesa come libertinaggio, il semplice fare ciò che si vuole, il “pretesto per la carne”. Paolo arriva, così, ad una definizione positiva della libertà: la capacità di fare il bene. Con l’amore di Dio è possibile mettersi al servizio (come già propoto dal Libro dell’Esodo) e ritornare costantemente alle origini, alla santità iniziale creata da Dio. Soltanto chi è libero può amare e servire sotto l’azione dello Spirito (come evidenziato dal IV vangelo). La persona liberata da Cristo non vive secondo un criterio esteriore, come i greci concepivano la libertà, ma secondo un criterio interiore, la vita nella Grazia di Dio. Paolo afferma che Cristo libera per vivere come fratelli nell’amore. Essere libero significa, così, fare il bene.

 

Artigo publicado na revista Presenza Agostiniana, n. 1, gen./feb. 2018, p…

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